Gianni Rodari – Scrittore
Gli ultimi quadri che qui si espongono, e nei quali l’occhio ridiventa volto, la luce ridiventa fiore, e l’uomo del futuro compare come putto, potrebbero far pensare a una riduzione dell’utopia all’idillio; ma forse rappresentano solo le visioni di un momento di serenità. Se gli “occhi”, come figura di energia, interpretavano – in una non del tutto comunicabile concezione del mondo – l’elemento maschile, volti fiori e bambini interpretano l’elemento femminile, tradizionalmente vissuto come dolcezza, tenerezza, maternità.
Le immagini si fanno strada come nei fumi colorati di un mattino di primavera, con trasparenze liquide, vibrazioni di madreperla, riflessi fuggitivi. Con abbandono ingenuo e confidente. Quasi con eccesso di grazia. Sono immagini che nascono come in sogno, in certi sogni appaganti, nei quali il lavoro di condensazione della mente avviene in superficie : direi nella schiuma dell’onda, se la mente è un mare con le sue profondità paurose. Figure nate da quella spuma, come Veneri innocenti. E sembrano non sospettare nemmeno di nascere dopo tanti sogni inquietanti. E appena nate sono pronte a dissolversi.
Da un gioco di dita nell’acqua sembrano sorgere anche i disegni che completano la mostra : da una penna, in ogni caso, libera di inventare, di seguire rapidi impulsi nervosi, come in un esercizio di scrittura automatica, di ammirare una forma o di stravolgerla, di indugiare su un profilo o di moltiplicare figure nelle quali si mescolano sogni e ricordi, dolci o terribili. Figurine che spesso, convivendo nello stesso foglio, stanno però da sole, ciascuna chiusa nel suo gesto o nel suo pensiero, e tra loro si contraddicono senza parlarsi; come folle di eremiti, ciascuno prigioniero del suo angolo di deserto; o più semplicemente come folle urbane, sempre sul punto di disgregarsi.
Un quadro è anche un problema di durata. Un disegno può essere istantaneo, riflettere umori passeggeri, barlumi di pensiero, proposizioni spezzate, come nel “monologo interiore” dei romanzieri. Ecco, tutti questi disegni, letti l’uno accanto all’altro, costituiscono una specie di “monologo interiore”di non sempre facile decifrazione. Ma ognuno di essi è vivo come il tutto di cui fa parte. Niente di non intimamente motivato, di esornativo, di sterile. Pochi segni raccontano lunghe storie. Molti di essi emergono come la punta di un “iceberg” da sensazioni ed emozioni che si indovinano profonde. E vi si incontrano anche, di quando in quando, scatti di allegria, quali non abbiamo mai visto nei quadri della Romano.
Si dice che il pennello può nascondere, ma il disegno rivela. In Luisa Romano il disegno rivela la stessa capacità visionaria che si incontra nella sua storia di pittrice, anzi la integra, ne è il commento acuto e sensibile.