Per Luisa Romano l’esperienza della pittura è un momento importante nella ricerca di una dimensione più vera di sé: un atto di conoscenza consumato lungo la china di un pensiero profondo, in solitudine, per ritrovare il comune cammino con gli altri e il mondo. Pervenire alla pittura è possibile soltanto come raggiungimento di uno stato di concentrazione che sposti la nostra sensibilità dall’ordine della quotidianità al livello della vita interiore. Un lungo viaggio verso la zona d’ombra, nell’attesa di una rivelazione che divenga il proprio messaggio agli altri. A cominciare dall’origine, dove ancora non è possibile parlare della cultura dell’uomo. All’origine ogni parola e ogni segno era un punto d’incontro di energie in cui avveniva la trasformazione della realtà in modulazioni della vita umana e in figurazioni l’espressione vivente dell’anima. Attraverso il linguaggio l’uomo non solo prese possesso dell’universo, ma fece di più: scoprì una nuova dimensione, scoprì in se stesso un mondo aperto sulla prospettiva di una più alta forma di vita, al di la dello stato attuale dell’umanità quanto la coscienza dell’uomo civile è al di la dell’animale. Il poeta veggente fu dominato dalla visione e dalla parola: l’occhio dell’uomo e di Dio, divenne il simbolo di questa realtà. Così Luisa Romano indaga il mistero dell’occhio, strumento di oscura magia e luce dell’anima, oracolo che non lascia trasparire la soluzione dell’enigma. E ferma l’immagine dell’occhio in una fredda luce di notti nere e lune avvelenate, in meridiani splendori, in impenetrabili apparenze: immobile in una struttura di cristallo rinvia ad una dimensione che non è più anatomia ma segreta domanda e inquieta ricerca su la segreta realtà dell’anima: presentimento di verità in quel perenne esercizio dell’arte che è esorcismo nei confronti della morte. E il problema della sua pittura diventa come trasformare la solitudine, quest’amaro seme di morte, in sublime certezza del contatto; nell’unità possibile, non già fisica ma di comprensione, col mistero dell’universo; in capacità di elevazione e di contemplazione di sfere celesti e astrali visioni. La magia di occhi che non sono più occhi. Come in balia di un sortilegio, quell’occhio ci attrae, ed è come sfiorare l’abisso. L’occhio del serpente, l’occhio che uccide, l’occhio che tutto vede sempre l’occhio e il suo potere di magia e di esorcismo.
Anche la pittura deve cambiare, farsi più sottile e misteriosa, rito silenzioso che brucia il colore in monocromi di notti stregate. Occhio-màndala, ma soprattutto mano gentile che solleva le palpebre pesanti del sonno, e lentamente penetra fin dentro i sogni per toccare le profondità sconosciute dell’anima.
Segno di questo struggente desiderio di totalità da raggiungere e da comunicare per ritrovare la fine del lungo itinerario nella notte, o verso la notte? La certezza di una dolce speranza che è ansia di vita serena in un mondo comune.
Elio Mercuri
Gli "occhi" cercavano di vedere nell'uomo l'energia capace di trasformarlo in pura intelligenza, in creatività senza limiti, di scorgere barlumi di energie nuove. Si è parlato di "spiritualismo"ma forse a torto. Anche nelle fedi Laiche sono possibili infinitesfumature. Se gli "occhi" sono figure di energia, interpretavano, in una non del tutto comunicabile concezione del mondo, l'elemento maschile; volti, fiori e bambini, interpretano l'elemento femminile...
Gianni Rodari
....Occhi diversi sia da quelli di Redon aperti al mistero ma non immemori dlla "divina ragione", sia da quelli più attuali e così fisicamentefelici di un Guidi,occhi esoterici che cercano una luce interiore non più naturale ma solo metafisica.
"Io spalanco oggi le porte di questa camera buia, qui ha termine il gioco" : non a caso dunque la Romano ha messo questa frase di Tagore a sigillo della sua insolita esperienza spirituale ed artistica.
Eleonora Trucchi